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FOLLOWERS

By  Marco Onofri

Ci sono immagini capaci di cavalcare l’onda della tecnologia senza utilizzarla. Ci sono fotografi professionisti abituati a gestire forme e composizioni affacciandosi senza indugio al più ampio mondo delle idee. Ci sono ragazze che si mostrano senza veli sui social network ignare di chi le osserverà. Ci sono followers che dal proprio dispositivo non risparmiano “mi piace” a corpi nudi che vedono oltre il display. Marco Onofri in questo lavoro racconta dell’epoca in cui viviamo. Lo fa con abilità tecnica e lucidità di pensiero. Le quattordici fotografie che compongono il progetto parlano di chi guarda prima ancora di chi è guardato. Sarebbe un errore pensare che il focus della serie fossero le modelle dai seni scoperti e dalle pose ammiccanti. La sensualità delle “lei” cede il passo ai “loro”.  I seguaci. Quelli che osservano, commentano, condividono. Il ragazzo ha la bocca aperta e la mano a coprire parzialmente il volto. Stupore, paura, eccitazione. La madre allatta la propria figlia mentre osserva un seno esibito per narcisismo. Invidia, sdegno, orgoglio. Pose sostenute per mascherare l’imbarazzo. Followers. Il braccio tatuato di una mamma protegge il corpo del figlio che scruta la scena tra la curiosità e la distanza. Il nostro occhio cade su di loro, i seguaci, a discapito delle forme ben esposte delle modelle. Una signora dilata le narici, un uomo si affaccia come se stesse guardando qualcosa di poco interessante. Il corpo nudo della ragazza in primo piano è distesa sul letto di un hotel. Cinque seguaci tengono la scena sotto controllo. L’esile ragazza seduta sul divano guarda nel vuoto, mentre i suoi followers la fissano indossando gli abiti da lavoro. Una salopette, un cappellino, dei pantaloni sporchi di vernice bianca. Un corpo nudo, una posa plastica, l’ambiente caldo di un appartamento, poca luce, quella di un’ abat-jour, qualche raggio filtra dalle tende di una finestra. Braccia conserte, mani in tasca, sguardi imbarazzati dei followers di cui osserviamo i dettagli. Un sopracciglio alzato, la t-shirt che stringe la pancia rigonfia. Una seguace vestita con pochi indumenti ma coperta nelle parti intime. C’è chi si prende un caffè. Chi invece si abbassa i pantaloni. Tutto in uno spazio ristretto. Followers e following. Le luci radenti, teatrali, sottolineano i particolari. Corpi sudati e imbarazzo negli occhi dei seguaci, disinvoltura nelle modelle indagate da pochi centimetri di distanza. Uomini che guardano donne. Donne che guardano donne. Un cane. Un uomo osservato da tre persone. Un bambino osserva il corpo prosperoso della modella con stupore e desiderio di racconto. Dagli 8 ai 74 anni i followers scelti da Onofri. Una decisione non facile da prendere quella di accettare l’invito del fotografo, guardare un corpo nudo sotto lo sguardo tecnologico di una macchina, quella fotografica, che congela senza apparente giudizio, favorendo però la critica di coloro che osserveranno. La modella fuma con l’aria di chi la sa lunga. Al suo fianco una donna incinta, un’altra guarda il fidanzato con sguardo di sfida misto a gelosia, poi c’è anche lui, Marco, il fotografo, che entra in scena alla Hitchcock, primo tra i seguaci. Una donna a terra simula un orgasmo, tredici followers la guardano immobili. Dal monitor alla realtà. Il contenitore cambia il contenuto. L’eccitazione lascia il posto all’imbarazzo, tutto mascherato da posture sostenute e sguardi indagatori. Questa serie fotografica di Onofri parla di quello che manca, il filtro, lo schermo, il social network. Quello che rimane è la relazione diretta, la fragilità dell’essere umano, la messa in crisi di certi atteggiamenti che si appoggiano a vane certezze. Poi il web, le abitudini digitali, le conseguenze nel mondo reale. La filosofia, la sociologia, l’antropologia, la fotografia. Quest’ultima più di altre discipline riesce a dare forma all’informe dei nostri tempi, a solidificare l’inconsistenza di questi anni. Le immagini di Onofri rimangono classiche nella composizione, di una luminosità caravaggesca, i luoghi lasciano trasparire l’amore del fotografo per le opere di Gregory Crewdson. Ma qui non è il cinema a farla da padrone, bensì il web e la ritualità che induce. Il mezzo fotografico continua a rimanere uguale a se stesso nonostante la profonda diversità delle immagini che produce. L’atteggiamento suggerito dall’uso delle tecnologie diviene il vero oggetto d’indagine. 

Sede: Casa dell'Energia (Ex Fonderia Bastanzetti)


HOMOPHOBIA IN RUSSIA

By  Mads Nissen

Essere lesbiche, gay, bisessuali o transgender (LGBT) sta diventando sempre più difficile in Russia; le minoranze sessuali si trovano ad affrontare una discriminazione giuridica e sociale, molestie e persino violenti attacchi, crimini d'odio da parte di gruppi conservatori religiosi e nazionali. Nel giugno 2013, l'omofobia in Russia si è spostata dalle strade alla legislazione del paese, la Duma di Stato ha adottato all'unanimità una legge anti-gay che vieta la "propaganda di rapporti sessuali non tradizionali", rendendoli illegali per riuscire a contenere tutti gli eventi legati a questo argomento: come gay pride o dibattiti sulla difesa dei diritti dei gay… Questo reportage documenta le molestie e le persone colpite da questo fenomeno. Il progetto ci mostra varie realtà com l'aula in cui vengono interrogati gli attivisti gay, la discoteca dove si sentono liberi di mescolarsi, una famiglia lesbica che vive nella paura che i loro tre figli possano essere portati via dallo Stato a causa delle proprie scelte sessuali e personali. Questo è un tentativo di capire che cosa si prova a vivere un amore proibito nella Russia moderna. Con una foto di questa serie, Mads Nissen ha vinto il World Press Photo 2015.

Sede: Casa Museo Ivan Bruschi


HOPPER MEDITATIONS

By  Richard Tuschman

Hopper Meditations è la risposta fotografica personale al lavoro del pittore americano Edward Hopper. Le mie immagini sono state create digitalmente creando dei diorami con case di bambole a grandezza naturale e modelli dal vivo. I set sono stati costruiti, dipinti e fotografati nel mio studio. Molti dei mobili sono realmente di case di bambole standard, altri invece ho deciso di costruirli da solo. Poi ho fotografato i modelli dal vivo, in un contesto normale, e, infine, c’è stato il lavoro di composit digitale con Photoshop. Quando ho iniziato la serie, il mio piano era quello di basare ogni opera su uno specifico quadro di Hopper, e questo è ciò che ho portato avanti nelle prime opere della serie. Come la serie è progredita, però, ho voluto creare con più libertà le mie composizioni, sempre ispirate allo stile e alla visione di Hopper, ma non più su quadri specifici. Ho sempre amato il modo in cui i dipinti di Hopper, con un'economia di mezzi, sono in grado di affrontare i misteri e le complessità della condizione umana. Posizionando di una o due figure in momenti umili e intimi, è riuscito a creare delle scene silenziose, psicologicamente convincenti con narrazioni in un tempo indeterminato. Gli stati emotivi dei personaggi sembra che vacillino, paradossalmente, tra sogno a occhi aperti e alienazione, o forse tra desiderio e rassegnazione. La luce drammatica aumenta i toni emotivi, ma ogni interpretazione finale è lasciata allo spettatore. Queste sono tutte qualità che spero di infondere agli astanti, con le mie immagini. Ci sono anche altri fattori per cui il mio lavoro si distacca da quello di Hopper. L'umore generale del mio lavoro è più cupo, e l'illuminazione è meno dura, rispetto a Hopper. Sto cercando di ottenere un effetto forse più vicino alla luce chiaroscura di Rembrandt, un altro pittore che ammiro moltissimo. Vorrei che la luce agisse, in questo mio progetto, quasi come un altro personaggio, non solo illuminando la forma delle figure, ma anche facendo eco ed evocando la loro vita interiore. Forse vorrei che la teatralità di Rembrandt si unisse all'umiltà di Hopper. In questo modo, mi piace pensare le mie immagini come drammi per un piccolo palco, con le figure come attori in un gioco di uno o due personaggi, radicati in un passato, identificandolo con la metà del XX secolo. Per me, questo aspetto serve ad accrescere il sogno, un effetto della scena nella scena. I temi evocati sono anche la solitudine, l'alienazione e il desiderio, sentimenti senza tempo e universali.

Sede: PALAZZO SACCHI